La mostra ritrovata

Adolfo Mignemi

Gli ottanta pannelli della mostra di Bordeaux vennero allestiti in tutta fretta, avendo a disposizione pochissimi giorni, affidandosi all’intensa partecipazione e conoscenza dei temi da sviluppare delle persone a cui veniva chiesto di realizzare il percorso espositivo. Di questo gruppo conosciamo con certezza solo due nomi: Remo Muratore e Italo Pietra. Al primo si deve gran parte della preparazione dei pannelli, al secondo il lavoro sui testi, con una sinergia che si ritroverà successivamente al momento della realizzazione del volume bilingue, italiano e francese, La resistenza italiana, edito dal Corpo volontari della libertà nel 1949 , ampliando l’opuscolo stampato due anni prima.

Muratore, originario di Chieri, si era formato a Milano ove aveva frequentato la Scuola Superiore d’Arte Applicata e aveva lavorato, dal 1938 al 1941, presso lo Studio Boggeri. In quegli anni, realizzando vari importanti lavori, aveva conosciuto Xanti Schawinsky, Max Huber, Albe Steiner, Luigi Veronesi ed Erberto Carboni. Dal 1943 al 1945 aveva partecipato attivamente alla lotta partigiana nell ‘Oltrepò pavese e dopo la liberazione, nel 1947, con Huber, Steiner, Veronesi e altri avvierà presso i Convitti scuola della Rinascita i corsi per grafici pubblicitari. Aveva partecipato intensamente anche al lavoro delle precedenti mostre milanesi e della mostra allestita per Parigi.

Italo Pietra era originario di Godiasco, nel pavese. Con il nome di battaglia “Edoardo” aveva partecipato anch’egli alla Resistenza nell’Oltrepò, divenendo prima ispettore delle brigate garibaldine, poi comandante delle diverse divisioni della zona.

Il suo nome era legato alle vicende della liberazione di Milano. Scrittore e giornalista, sarà negli anni Sessanta il direttore del quotidiano “Il Giorno”, voluto a Milano da Enrico Mattei.

Nella preparazione della mostra destinata a Bordeaux venne fatto ampio uso della documentazione predisposta per la precedente esibizione di Parigi, ma i pannelli finirono per risultare, sia sul piano dei contenuti sia dal punto di vista tecnico, assai diversi.

Le tracce di questo avventuroso cantiere, in cui chi doveva progettare la grafica era al tempo stesso l’operatore manuale che intagliava e incollava le immagini, sono evidenti sulla superficie dei pannelli ove rimane visibile, con i segni dei taglierini, la memoria di ripensamenti o delle decisioni prese all’ultimo minuto.

Lo stesso vale per le didascalie, soprattutto quelle alle singole fotografie: aggiunte per completare e integrare le informazioni dei brevi testi, dattiloscritte in tutta fretta e incollate, spesso senza rileggere attentamente e correggere i numerosi errori di battitura.

Nonostante si disponesse solo di una manciata di giorni si era provveduto comunque alla ricerca di nuove immagini e documenti, in particolare relativi alla ricostruzione – tema che nella mostra di Parigi era assente – e alla riscrittura totale dei.testi.

Dal punto di vista tecnico le immagini vennero ristampate e impaginate sui pannelli, i titoli e talvolta alcuni testi furono tracciati e colorati a tempera, ma l’ulteriore, vera grande novità fu rappresentata dalla scelta dei materiali di supporto: non più pannelli pesanti e di grosso formato sopra i quali i materiali talvolta rischiavano di perdersi, ciascuno dotato di un supporto poco maneggevole, bensì snelle tavole in masonite nelle quali le immagini e i documenti si susseguono con un ritmo serrato di narrazione, ciascuna dotata di una perforatura standard per fissarle a parete o per consentire di unirle, pannello a pannello, con semplici anelli di connessione.

Dal punto di vista dei contenuti i pannelli erano diretti eredi delle esperienze espositive che li avevano preceduti.

Essi realizzavano cioè un percorso capace di “portare alla coscienza del mondo quel che l’Italia ha patito e quel che essa ha fatto”.

La scelta dei materiali, come già avevano scritto gli organizzatori predisponendo la mostra di Parigi, “deve essere fatta con la massima imparzialità, al di fuori di gelosie di partito o di formazione, e solo in vista di dare una visione il più possibile impressionante del contributo dell’Italia alla lotta contro il nazifascismo. Bisogna far colpo con documentazioni, con statistiche (caduti, forze in lotta, prigionieri alleati salvati ecc.) con elementi che possano essere riportati sui giornali nel momento in cui si tratta della pace – e non contare su un successo di critica artisti ca. Molti documenti e nessuna retorica”.2

Dietro a un apparente percorso scandito dall’asse del tempo e dal succedersi degli eventi le tematiche della mostra, e in particolare il percorso comunicativo, risultavano assai articolati. A distanza di decenni dalla loro realizzazione risulta evidente come, al di là della rilevanza documentale dei materiali sul piano storico, sia indispensabile riflettere intorno all’analisi della progettualità e delle finalità comunicative del percorso che la mostra ha voluto sviluppare.

“L’importanza di una lotta di liberazione – scriveranno proprio Muratore e Pietra. a cominciare dal risvolto di copertina del volumetto La Resistenza italiana – non si può giudicare dalla misura del vantaggio militare che gli eserciti alleati ne hanno ricevuto. Anche la lotta di liberazione francese e la lotta di liberazione jugoslava perdono parecchio della loro importanza se giudicate sulla base del loro apporto allo sforzo bellico degli eserciti alleati. E la lotta di liberazione italiana, malgrado le sue decine di migliaia di caduti, diventa di un’importanza irrisoria se giudicata su simile base. È fuori dubbio che se anche non ci fosse stata nessuna lotta di liberazione italiana gli eserciti alleati avrebbero vinto lo stesso. La differenza sarebbe stata solo di tempo. Essi avrebbero vinto sei mesi più tardi. Ma se non vi fosse stata nessuna lotta di liberazione, cioè nessuna lotta partigiana, essi non sarebbero stati degli eserciti liberatori ; sarebbero stati degli eserciti semplicemente conquistatori “.

Va poi ricordato che negli stessi giorni della fine del 1946 in cui veniva realizzata la seconda Mostra della Resistenza italiana e si predisponeva il volumetto che avrebbe accompagnato la sua circolazione e quella dei pannelli allestiti per l’esposizione di Parigi, i rappresentanti del popolo italiano, democraticamente eletti dopo oltre venti anni di soppressione delle libertà, iniziavano a scrivere la carta costituzionale , documento fondamentale per la vita democratica che il paese si avviava a vivere, riversando in essa lo spirito e gli sforzi di quel percorso di liberazione.

Le tematiche della mostra. Presenze, omissioni. A chi si rivolge l’esposizione

Il percorso espositivo progettato per Bordeaux risultava praticamente dimezzato rispetto a quello realizzato a Parigi. Esso vide i curatori costretti a rendere essenziale la comunicazione, con una notevole riduzione dei testi e con l’eliminazione di larga parte del percorso argomentativo. Si finì così per accentuare sia il ruolo delle tematiche presenti sia, all’interno di esse, il peso delle reticenze e delle omissioni. Si puntò a colpire l’attenzione quasi esclusivamente con elementi di assoluta sintesi, con dati , statistiche o grafici (si pensi, ad esempio, ai pannelli 10.C e 16.A).

Il tema delle vicende storiche del ventennio di dittatura fascista, da cui aveva preso avvio l’allestimento della precedente mostra di Parigi, vedeva l’assenza di una riflessione sul fascismo come regime. Esse vennero ricondotte alle vicende di un dittatore circondato da un manipolo minoritario di violenti e criminali (pannelli l.A e 15.D) rinunciando, ad esempio, a sottolineare le responsabilità storiche della monarchia, i caratteri reazionari di massa assunti dal regime, le politiche di discriminazione razziale praticate, le mire di espansionismo imperialista, le responsabilità nello scatenare il secondo conflitto mondiale.

Delle guerre fasciste condotte a partire dal 1935 non vi era traccia, così neppure della guerra di Spagna, che nella precedente esposizione parigina era invece ampiamente richiamata; lo stesso avversario della guerra partigiana fu principalmente individuato nel “crucco nazista “, mentre nella precedente mostra era sempre , m modo più accorto, denominato “tedesco”.

Le responsabilità collettive risultavano dunque totalmente azzerate e, di conseguenza, venne ad essere enfatizzato il ruolo dell’esercito e delle forze armate (pannelli 2.D, 3.B, 3.D).

Anche i caratteri generali della lotta di Resistenza furono ricondotti a uno schematismo quasi riduttivo.

Essendo poi la mostra destinata ad aree francofone, fu inevitabile che essa volesse affrontare il tema dei rapporti dell’Italia con la Francia; sulla base dello schematismo prima richiamato, si evitò di soffermarsi sulle vicende del 1940 e si puntò direttamente a quantificare il contributo italiano alla guerra a fianco degli Alleati in Europa, e a presentare i rapporti tra la Resistenza piemontese e quella francese (pannelli 17.Bl, 17.B2,17.D).

La lingua della mostra: le parole e le immagini

Anche dal punto di vista linguistico la versione semplificata della mostra comportò una accentuazione dei caratteri dell’allestimento

che l’aveva preceduta. Venne in primo luogo affidato alle immagini un compito enunciativo maggiore e fu quasi totalmente eliminata la presenza di documenti, rinunciando alla preziosità del richiamo attraverso materiali che erano stati testimoni, se non protagonisti, degli avvenimenti illustrati dall’esposizione.

La scelta accentuò il ricorso a fotografie che fossero, da un lato, di forte carattere emblematico e simbolico, improntate a un linguaggio retorico, dall’altro a documenti fotografici in cui si ricostruivano o, più semplicemente, si suggerivano situazioni realmente accadute.

Conseguente fu l’uso della parola scritta intesa non come didascalia ma come complemento testuale, sovrapposta all’immagine, capace di accentuarne i contenuti comunicativi. Ad esempio, la tesi che la vicenda resistenziale avesse costituito una vera e propria riscrittura della storia venne ribadita, scegliendo immagini fotografiche riproducenti scritte propagandistiche alle quali i resistenti avevano apportato correzioni capaci di ribaltarne il significato (pannelli 4.A e la scritta “Vinceremo i tedeschi” in l.D).

Analogamente: che cosa più dell’immagine dei cartelli tedeschi, destinati a segnalare la presenza di bande partigiane in zona, poteva evocare l’idea del territorio liberato? (pannelli 9.A e 9.B).

Oppure: che cosa più della semplice istantanea scattata a due uomini in bicicletta poteva richiamare l’azione partigiana gappista (pannello 5.B)

O ancora: che cosa più di un ponte distrutto poteva evocare il sabotaggio? Poco importava se quel ponte era stato in realtà demolito da un bombardamento alleato il 19 ottobre 1944 a Vergato, nel Bolognese (pannello 11.A).

O quale immagine può evocare la centralità della società civile nella lotta partigiana meglio della sfilata in borghese per le vie di Milano del comando generale della Resistenza? (pannello 11.B).

La ricostruzione fotografica di un avvenimento venne utilizzata di frequente: andava dalle modalità di sabotaggio dei tram a Milano (pannello 4.D), alla ricostruzione dell’attentato di via Rasella a Roma (il carrettino abbandonato nel pannello 5.C), al palese fotomontaggio – un gruppo di operai fotografati ad una manifestazione dopo la liberazione e le ciminiere di una fabbrica – tanto simbolico quanto incoerente con gli avvenimenti rappresentati, al quale si assegnava il compito di evocare gli scioperi nelle fabbriche nel 1943 e nel 1944 (pannello 1.A2).

La storia, il popolo e le istituzioni

La rappresentazione storica degli avvenimenti della guerra è semplificata. Nei pannelli addirittura le immagini sembrano più voler sottolineare ed enfatizzare i testi che essere un vero e proprio tessuto narrativo (pannelli l.C e l.D) .

Nella ricostruzione cartografica degli avvenimenti la semplificazione finisce con evidenziare tutta la parzialità di analisi e di informazione di cui si dispone e la difficoltà a rappresentare eventi frammentati in innumerevoli episodi locali. La carta delle ostilità di reparti dell’esercito italiano con le forze tedesche (pannello 2.A) è ampiamente incompleta – mancano, ad esempio, i numerosi episodi accaduti nell’area pugliese e toscana mentre è segnalata un’estesa conflittualità in Calabria che non vi fu in realtà – e gli organizzatori della mostra, che probabilmente si rendono conto di tale eventualità, preferiscono ricorrere alla forza simbolica offerta dagli avvenimenti meglio ricostruiti e alla evidenza delle cifre: 8400 fucilati a Cefalonia (pannello 2.C) .

L’unico soggetto attivo e protagonista di processi che forse si dà per scontato siano conosciuti – ma quanto per gli stranieri ai quali la mostra è destinata? – , è il popolo. Non lo sono il re e la monarchia che non vengono mai nominati, neppure i generali e le gerarchie militari (citate solo a proposito dei fatti di Cefalonia, per aver condiviso la sorte dei soldati) e tanto meno gli organi istituzionali (si parla di sfuggita del “Governo Badoglio”).

Il popolo è inteso nel senso più ampio: i civili massacrati (pannello 5.A ); i ragazzi e le donne delle città che erano insorte contro i tedeschi, a partire da Napoli, la prima città europea a combattere e cacciare gli occupanti (pannello 2 B), gli operai che avevano sabotato la produzione bellica, scendendo ripetutamente in sciopero, e accanto a loro gli studenti (pannello 4.C); non ultimi, i soldati che il regime aveva mobilitato e messo in divisa per condurre la guerra.

A fronte del popolo vi erano i “crucchi nazisti”, avidi di uomini, che avevano organizzato la schiavitù e la tratta dei lavoratori (pannello 6.B) .

Centinaia di migliaia erano stati i deportati (pannello 6.C), le persone per le quali si erano spalancati gli orrori dei campi di concentramento (pannello 6.D). Ed è sicuramente singolare il fatto che di questo universo non facciano parte le migliaia di ebrei nei confronti dei quali la persecuzione era iniziata anche in Italia ben prima della guerra, nel 1938.

Quarantaseimila morti erano l’ulteriore contributo di vittime pagato dagli italiani rimasti a combattere in divisa, non pochi dei quali appartenenti a quella “nuova armata “, fortemente osteggiata nella compagine alleata , che “non si volle riunire in una armata organica perché un esercito italiano non figurasse tra i combattenti e i vincitori “, per cui le furono attribuiti vari e fantasiosi nomi: prima Gruppi di combattimento , poi Corpo italiano di liberazione (pannelli 7.A e 7 .B).

La Resistenza

L’eroe della stagione resistenziale è il partigiano: colui che “dopo la lunga tempesta” ha consentito ai primi “lembi di terra italiana” di “risvegliarsi al sole della libertà” (pannelli 10.A e 10.B).

La mostra lo propone, anche materialmente, come una gigantesca figura che avanza riconoscibile a qualsiasi sguardo come un vero soldato: il volto severo, in pugno lo ‘sten‘ e al collo il fazzoletto colorato, simbolica mostrina di questo nuovo esercito di popolo (pannelli 8.A, 8.B e 8.C).

E il combattente dell’ultima stagione della lotta di resistenza armata, quella della primavera 1945 quando alle bande degli ultimi mesi del 1943, con gli uomini vestiti in eterogeneo, si erano sostituite le formazioni più organizzate dell’estate 1944 e, dopo il durissimo inverno 1944-45, le brigate erano divenute – “ritessuta e rinvigorita la trama dell’organizzazione militare” – un esercito capace di manovrare in modo coordinato di fronte alla reazione nemica, sempre violentissima, anzi, forse più crudele “man mano che si faceva chiara la inevitabilità della sconfitta germanica” (pannello 9.C).

Il prezzo delle lotte è stato altissimo: case incendiate, rappresaglie, impiccagioni, fucilazioni, stupri (pannelli 12 .A, 12.D, 13.A e 13.D). Dai pannelli affiora il richiamo a qualche luogo – la zona del monte Grappa o le fosse Ardeatine, ad esempio (pannelli 13.C e 5.C) -, ma la geografia dell’orrore e della lotta è talmente ampia da sovrapporsi all’intero territorio nazionale.

Nonostante le apparenze, suggerite dalla scelta dei documenti esposti (pannelli 11.C1 e 11.C2), non c’è spazio nei pannelli per le importanti esperienze politiche realizzate nel corso dei venti mesi della lotta armata – le zone libere, ad esempio.

Si preferisce rimarcare, con la forza delle immagini fotografiche, il pesante contributo di vite umane pagato dai resistenti e rappresentare attraverso elementi simbolici – le cifre, le cartografie (pannelli 18.A e 12.B) – la rilevanza del risultato finale: aver offerto, attraverso l’insurrezione, “ai soldati delle Nazioni Unite” un paese liberato dai fascisti e dai tedeschi, unito in “un solo colore: quello della libertà” (pannelli 14.C e 14.D)

La nuova Italia

I pannelli predisposti per l’allestimento di Parigi si fermavano alle vicende della liberazione. Nel nuovo percorso, benché si fosse dimezzato il loro numero, volutamente venne aggiunta una sezione dedicata alla ricostruzione.

Le ragioni della scelta andavano ben oltre la questione che nei mesi intercorsi tra i due allestimenti erano intervenuti in Italia alcuni importanti avvenimenti politici e culturali (il referendum istituzionale e la nascita della Repubblica, l’inizio dei lavori della Costituente ecc.). Vi era piuttosto il fatto che la Conferenza di pace di Parigi del luglio-agosto precedenti si era conclusa imponendo agli italiani un prezzo da pagare, per le responsabilità storiche del fascismo, ben più alto di quello immaginato.

Il paese, in altre parole, a causa della “miopia pericolosa di chi non ha capito ch’era meglio per l’avvenire della pace nel mondo trattarci non come un popolo in castigo ma come un popolo amico”, sarebbe venuto a trovarsi di fronte all’ “esperienza amara” di una “pace ingenerosa” e solo la fedeltà totale agli ideali in nome dei quali era sorta la nuova Italia, rappresentata dal movimento di Resistenza. avrebbe potuto garantire un autentico processo di rinnovamento democratico del paese.

L’ultima sezione della mostra si apre con il richiamo ai principali fatti concreti che hanno caratterizzato “le prime tappe della democrazia:

  • Abolizione delle leggi fasciste
  • Libertà di stampa
  • Epurazione
  • Unità sindacale (Confederazione Generale ltaliana del Lavoro)
  • Consigli di gestione
  • Trasformazione del Senato
  • Riduzione delle forze armate
  • Elezioni politiche (85% hanno votato) Costituente
  • Repubblica” (pannello 18.B).

Il bilancio politico della lotta armata che la mostra traccia vuole apparire rassicurante, improntato alla fermezza delle scelte, al pluralismo delle rappresentanze e all’affermazione intransigente della giustizia (pannelli 15.C e 18.C).

Al lavoro di distruzione dei nazifascisti, che ha disseminato lutti e rovine in tutta Europa (pannelli 19.A e 19.C). si contrappone la ricostruzione immediatamente avviata (pannelli 20.A, 20.B e 20.C).

Alle spalle vi è la centralità della cultura democratica europea: quella fattiva del mondo produttivo e delle sue forze che “ora alimentano la pace”, dopo aver saputo impugnare anche le armi per riconquistare la libertà; quella della gente comune che lavora, studia e gioisce come il 14 luglio 1945 a Milano, quando venne festeggiata, dopo cinque anni di guerra e oltre venti di dittatura, “la giornata della Bastiglia. la festa del popolo libero, della Francia amica, della Repubblica che avanza” (pannello 18.D) o come nel novembre 1946 a Genova, quando il varo della nave “25 aprile” venne salutato quale simbolo dell'”orgoglio e dello spirito del popolo (pannello 20.D).

“Per noi – si legge nei pannelli – la guerra è morta il 25 aprile con Mussolini in Piazzale Loreto: quel giorno la nostra libertà è nata” (pannello 20.C). E ancora: “La libertà è stata conquistata combattendo, la democrazia nasce per difendere la pace”( pannello 18.D).

Quanta fosse l’amarezza vissuta in quei giorni dai centomila “combattenti della nostra guerra di popolo, pionieri del secondo Risorgimento nazionale” sarebbe emerso, in tutta la sua drammaticità, solo dalle pagine del volumetto La Resistenza italiana, in particolare in quelle aggiunte alla sua seconda edizione, edita nel 1949.

I pannelli della mostra

È alla luce di queste griglie interpretative che si può procedere alla lettura della successione dei pannelli nel loro complesso.

Al momento del loro rinvenimento, nel settembre 2001 a Milano , nel corso del trasferimento dell’Insmli dalla sede di Palazzo Reale, che lo ospitava dal 1949, alla nuova in viale Sarca, negli spazi dell’ex stabilimento Pirelli, essi sono risultati 73, di cui 72 recanti sul retro una numerazione progressiva che non corrispondeva tuttavia ai legami in cui essa si trovava.

Tale numerazione, va detto, evidenzia tuttavia delle ripetizioni e delle lacune assolutamente non ricostruibili, ancor più in assenza, rispetto ad esempio alle varie mostre precedenti, di una documentazione fotografica dell’allestimento .

Il pannello non numerato contiene semplicemente due lettere dipinte su fondo bianco, AL, corrispondenti, in tutta probabilità, alla parte della intestazione della mostra: ITALIE. Come si è detto, essa faceva infatti parte di un più ampio allestimento dedicato ai vari aspetti della resistenza in Europa. Se il loro numero originario era 80, sarebbero andati dispersi quindi cinque pannelli.

Lo schema tematico della successione dei pannelli può essere  il seguente: dal fascismo all’8 settembre; 1’8 settembre e i primi episodi di resistenza; la società civile di fronte all’occupazione tedesca e alla Repubblica sociale italiana; le nuove forze armate; la Resistenza partigiana; il contributo italiano alla Resistenza in Francia; dalla liberazione alla democrazia.

Al proprio interno ogni settore evidenzia una ulteriore articolazione di temi. La parte sulla società civile, ad esempio, si sofferma sulla organizzazione delle Sap, dei Gap, sul lavoro coatto e la deportazione in Germania; quella sulla Resistenza partigiana si articola in varie parti tra le quali: la stampa partigiana e gli aiuti alleati, i sabotaggi, le zone libere partigiane e i rastrellamenti, le rappresaglie, l’insurrezione, il bilancio di quella esperienza. Così la parte finale , dedicata al passaggio dalla guerra alla pace e alla democrazia ove ci si sofferma con evidenza sulla realtà rispetto alla quale gli italiani si erano trovati a dover agire e sui caratteri di questa azione. Nella seguente descrizione analitica dei singoli pannelli, per facilitarne la lettura, accanto alla traduzione dei testi e alla identificazione dei documenti fotografici o di altro tipo, si è preferito sottolineare tale scansione dei pannelli.

 

  1. ‘ Isrp, Presidenza del Clnrp , f. Manoscritti dottor Antonicelli, appunto manoscritto di Franco Antonicelli , Per la mostra della Resistenza, 25 marzo 19-16.
  2. ‘ Istoreto , b. H 23, f. b. lettera di Gabriele Mucchi a Franco Antonicelli. 1° maggio 1946.
  3. ‘ Al momento del loro rinvenimento i pannelli risultavano così accoppiati:
  4. l.Al/1.A2 ; 1.C/ 1.D; 2.N2.B ; 2.C/2.D ; 8.Al/3 .B; 3.C/3.D ; 4.A/4.C; 5.A/5.B;5.C/ 5.D; 4.D / 6.D; 6.B/ 6.C ; 7.N7.B ; 7.C/7. D; 8.NB. B18.C; 9.A/9.B; 10.Nl0.B; 10.C/10 .D; 11.Nll.B ; 11.Cl/11.C2; 12.A/12.B: 12.C/12.D; 13.A/ 13.B; 13.C/13 .D; 14.C/14 .D; 14.B/9. C; 15.C/ 15.D; 16.A/16.D; 16.B1/16.B2; 17 .B1/17.B2 ; 17.D/ senza segnatura (AL); 18.A/18.B; 18.C/l8.D; 19.Nl9.B; 19.C/19.D; 20.N20.B; 20.C/20.D.
  5. ‘ La numerazione originaria data ai pannelli prevedeva unicamente un numero ed una lettera (ad esempio : l.B o 16.A) dando luogo pertanto a numerose ripetizioni ( per I.A , 8.A, 11.C. 16.B e 17 .B). Riordinando i materiali e predisponendo il presente volume, per una loro più precisa identificazione si è preferito introdurre accanto alla lettera un ulteriore elemento numerico (ad esempio: I.Al e l.A2) .

Milano capitale della Resistenza

Milano viene giustamente definita capitale della Resistenza.
A Milano avevano sede il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, di cui fu Presidente e tesoriere Alfredo Pizzoni, e dal giugno 1944 il Comando del Corpo Volontari della Libertà.

Roberto Cenati

La mostra ritrovata

Il ritrovamento quasi fortuito degli 80 pannelli della mostra di Bordeaux ha permesso di aggiungere un importante tassello agli studi sull'autorappresentazione del movimento partigiano immediatamente dopo la guerra.

Adolfo Mignemi

Disegni, artisti, resistenze

I ventidue disegni che vengono presentati nell’esposizione che celebra i 75 anni della Liberazione provengono dal fondo costituito da Mario De Micheli e dedicato al tema della Resistenza.

Francesca Pensa

La libertà negli occhi e il coraggio della pittura

Disegni di artisti resistenti raccolti da Mario De Micheli

Giorgio Seveso

Christian Schiefer, un fotografo a Piazzale Loreto

Le immagini di Christian Schiefer, fotografo svizzero presente a Piazzale Loreto il 29 aprile 1945, giorno in cui il cadavere di Mussolini venne riportato a Milano.

Giovanni Scirocco

Memoriali, musei e monumenti dello studio di architettura e urbanistica BBPR

Architettura, Antifascismo, Resistenza, Deportazione, Liberazione, Memoria

A cura di ANED

Piazzale Loreto, 10 agosto 1944

Quella di piazzale Loreto (la “prima” piazzale Loreto, la strage nazifascista di 15 partigiani) è una vicenda complessa, in cui si intrecciano quasi inesorabilmente storia, politica, memoria, narrazione

Giovanni Scirocco

Giuseppe Scalarini: l’Italia fascista è un carcere

Un viaggio intorno a una vignetta di Giuseppe Scalarini, disegnata dal più grande artista italiano della satira e della caricatura in una data imprecisata dopo la Liberazione.

Maurizio Guerri

Aldo Carpi, Passa la zuppa al Revier Gusen I, 1959

Il disegno di Aldo Carpi "Passa la zuppa al Revier Gusen I" fu donata dall’autore all’amico storico e critico dell’arte Mario De Micheli, docente al Politecnico di Milano. L’immagine rimanda all’esperienza di deportazione del pittore milanese nel lager di Mauthausen e nel sottocampo di Gusen I

Maurizio Guerri

Venanzio Gibillini (Milano, 1924-2019)

“Mi chiamo Gibillini Venanzio. Sono sopravvissuto nei campi di Flossenbürg, Köttern e Dachau”. Instancabile, iniziava sempre così Venanzio le sue infinite testimonianze nelle scuole e negli incontri pubblici.

A cura di ANED