Aldo Carpi, Passa la zuppa al Revier Gusen I, 1959

Maurizio Guerri

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Bibliografia essenziale

Il disegno di Aldo Carpi (Milano 6 ottobre 1866; Milano 23 marzo 1973) Passa la zuppa al Revier Gusen I, 1959 (carbone su carta, 50 x 33 cm) fu donata dall’autore all’amico storico e critico dell’arte Mario De Micheli, docente al Politecnico di Milano. L’immagine rimanda all’esperienza di deportazione del pittore milanese nel lager di Mauthausen e nel sottocampo di Gusen I dopo l’arresto avvenuto a Mondonico nel gennaio 1944. Il termine tedesco Revier (settore, territorio) era utilizzato in molti lager come forma abbreviata di Revierstube cioè «infermeria» che a Mauthausen o Gusen era gestita da medici e infermieri anch’essi deportati.  Al centro dell’immagine la figura di un detenuto il cui volto sembra ormai un teschio, gli occhi spenti e infossati, la divisa quasi vuota, mentre si sostiene appoggiandosi a un palo di sostegno del reticolato, dietro il quale sembra scomparire. Della zuppa non c’è traccia.

Negli anni Quaranta Aldo Carpi è un affermato pittore – per quanto dopo l’ascesa del fascismo la sua opera fosse invisa alla maggior parte dei critici legati al regime tra cui Ugo Ojetti e Margherita Sarfatti; Carpi è docente di pittura all’Accademia di Brera di cui è stato uno dei grandi maestri: tra i suoi allievi si ricordano Aligi Sassu, Ennio Morlotti, Bruno Cassinari, Gianni Dova, Roberto Crippa, Umberto Faini, Trento Longaretti, Cesare Peverelli, Bepi Romagnoni, Giuseppe Guerreschi, Lorenzo Milani e Dario Fo. Dopo il 1943 la sua casa in via De Alessandri 1 a Milano diventa uno dei primi luoghi di incontro della Resistenza milanese. La moglie di Aldo Carpi, Maria Arpesani è la sorella di Giustino Arpesani antifascista e punto di riferimento del Clnai. Dal 1943 tutti i figli di Carpi impegnati attivamente nella Resistenza sono costretti a vivere in clandestinità o a fuggire in Svizzera; Pinin viene fermato, ma è liberato grazie a uno scambio di prigionieri. Paolo è catturato con altre diciannove persone il 31 luglio 1944 in viale Regina Margherita 38, nello studio dell’avvocato Luciano Elmo, esponente del Comitato di liberazione e tra i fondatori del giornale clandestino «Risorgimento liberale». Paolo Carpi, arrestato all’età di 17 anni, è prima deportato a Flossenbürg e infine assassinato a Gross-Rosen con una iniezione letale, poco prima della liberazione del lager da parte dell’Armata rossa.

Nel 1941 è diventato docente al Liceo di Brera lo scultore Dante Morozzi fervente fascista, convinto antisemita e artista di discreto successo durante il ventennio, anche per via delle sue frequentazioni con Bottai, Farinacci, Preziosi, Manganiello, Pavolini, Interlandi. Morozzi a Brera persegue con irrefrenabile ambizione il successo personale – diventare docente nella più celebre accademia italiana – e vuole tenere sotto controllo come spia e delatore un luogo di formazione e di cultura poco incline all’“ordine” fascista. In altre parole: rendere buoni servigi al regime, sarebbe stata una ghiotta opportunità per compiere una scalata personale all’interno dell’Accademia di Brera.

Come emerge dagli atti del processo ai danni di Morozzi celebrato nel 1946, Carpi è oggetto di diverse delazioni da parte di Morozzi fin dal 1942: una prima volta viene denunciato in quanto il suo cognome è «giudeo» (già il nonno di Carpi si era convertito al cristianesimo), poi le diverse denunce attirano l’attenzione delle autorità sul suo essere «furiosamente antifascista», o su presunte protezioni che Carpi avrebbe offerto a studenti di origine «giudea». Morozzi dopo la fine della guerra sarà condannato in contumacia a 18 anni di carcere, ma infine il reato sarà condonato per amnistia.

Il 23 gennaio 1944 Carpi viene arrestato a Mondonico dove era sfollato con la famiglia; il giorno prima aveva finito di dipingere L’arresto degli arlecchini, in cui rappresenta il timore per la sorte dei suoi figli.[1] Dopo un breve passaggio nel carcere di S. Vittore, Carpi è deportato a Mauthausen e successivamente nel sottocampo di Gusen I. L’intero periodo di reclusione nei lager è testimoniato dal celebre Diario di Gusen scritto clandestinamente nelle baracche dei campi sotto forma di lettere alla moglie Maria impossibili da spedire e dai disegni eseguiti altrettanto clandestinamente con materiali e fogli di fortuna. Il senso e il valore di questi disegni è ben espresso da Carpi in queste righe scritte a Gusen:

«L’ispirazione arriva al pittore dal vedere, dal sentire, dall’amare, dal capire. Quello che potrebbe ispirarmi, qui, è la vita di qui: che potrebbe ispirare dell’arte, con la sua strana e dolorosa e non sempre dolorosa realtà; ma questa ispirazione sarebbe totalmente negativa per il mio lavoro di qui. Nessuno vuole scene e figure del lager, nessuno vuole vedere il Muselman che è il tipo del vinto di qui, del giovane vinto di qui». (Lettera alla moglie Maria, lager di Gusen, 14 febbraio 1945)

L’arte deve parlare della vita, della lacerazione tragica di felicità e dolore che la attraversa. Dipingere nel lager, «dipingere con la testa nel sacco» – come scrive Carpi riferendosi al proprio lavoro di pittore “su commissione” dentro il lager – significa invece non poter rappresentare lavita, tacere di che cosa è l’esistenza nel lager, diventare ciechi davanti alla figura del Muselman, cioè la figura del «vinto» di colui che sarà sommerso e di cui non ci sarà mai diretta testimonianza. I disegni di Gusen, così come le pagine del diario – che Carpi riesce a tenere nascosti per tutta la durata della sua detenzione – oltre che un diario di resistenza spirituale di rara forza, compongono un insieme di testimonianze della vita, della sua sistematica distruzione, della resistenza dentro il lager. Resistenza è in Carpi anche quel senso di pietas per la vita umana offesa e deturpata, che Carpi sa disegnare con una cura e una sensibilità che non cede mai a toni compassionevoli, ma da cui anzi promana una profonda empatia per il dolore di chi gli sta accanto, un dolore che solo per un caso e solo fino a ora non l’ha ancora toccato:

«Ma vidi un morto ieri: lo credetti morto ma era solo un moribondo; arrivato dopo il Transport da Steyr: tutto attorno a lui, seduti, erano esseri vivi avvolti in coperte e stracci, simili assai ai prigionieri dei serbi ch’io vidi a Valona nel I9I5 . Visi di dolore, grigi come le coperte, visi sfiniti quasi di dementi, miserabili e sporchi. Quando ripassai da quella camera tutti erano stati portati via tranne il moribondo del centro. Egli era ora solo, nudo, disteso al suolo al centro della stanza, visibile da quattro porte. Agonizzava e aveva il leggero singulto del respiro difficile, quando il cuore rallenta. Le braccia aveva ripiegate sul petto e il viso riteneva ancora un’espressione di vita. Un dolore infinito diffuso sulla faccia di colui che morendo si sente da tutti abbandonato, da nessuno accarezzato. Due occhi piccoli neri guardavano in alto e luccicavano sotto le palpebre: c’era del pianto, sotto, pianto senza lacrime. Una bocca semiaperta nel volto abbronzato, pareva parlare tutto il viso pareva parlasse, non a noi, non a nessuno, a Dio, raccomandando se e qualcuno del suo paese: era una preghiera, una domanda di pietà, di misericordia, di Grazia. Mi venne la voglia di abbassarmi e di fargli il segno della croce sulla fronte. C’erano altri, eravamo nel lager non ebbi il coraggio e ne ho il rimorso. Doveva essere uno di quei semplici contadini russi, semplici come si vedono nei libri di Tolstoj. Era solo, disteso sul pavimento della stanza vuota, e Cristo moriva con lui. E io mi sentii vile nell’anima davanti a lui». (Gusen, maggio 1945)

Questa pietas nei confronti del deportato è al centro dei «disegni di Gusen» e di molte altre opere – dipinti a olio, carboncini, disegni – anche dopo il ritorno a Milano come questo che presentiamo intitolato Zuppa al Revier Gusen I donato all’amico Mario De Micheli, curatore tra l’altro dell’ultima grande personale dell’artista alla Rotonda della Besana di Milano. La salvezza di Carpi dipese sia dalla sua notorietà di pittore che gli permise di fare su richiesta degli ufficiali del lager qualche ritratto o paesaggio, guadagnando così qualche mestolo di zuppa in più, sia dall’aiuto ricevuto da alcuni medici polacchi che si preoccuparono di tenerlo al riparo dai lavori più massacranti nell’infermeria per alcuni mesi, fino alla liberazione del campo. Come annota Carpi nelle pagine del Diario, o come appare nella mappa del Revier disegnata a memoria per i diversi processi in Germania a cui è chiamato a testimoniare Carpi, dei 7 blocchi principali di cui esso si componeva uno era adibito a quei malati – spesso dissenterici – che sarebbero stati lasciati morire, senza nessuna cura, senza acqua, senza cibo. Il soprannome di questa baracca era Bahnhof, alla lettera «stazione». È assai probabile che il disegno che qui presentiamo sia il ricordo di uno dei tanti volti – molti rimasti senza nome – che Carpi vide morire nel Bahnhof del Revier e di cui Carpi udiva le richieste di aiuto – acqua, zuppa – senza che potesse fare nulla per loro. Una di queste figure, quella dell’operaio dell’Alfa Romeo Alfredo Borghi, Carpi la ricorda sia nelle pagine del Diario, sia in uno dei disegni di Gusen[2] che reca scritta la frase Carpi damm de bevv! in milanese «Carpi dammi da bere!», l’ultima frase che Carpi sentì uscire dalla sua bocca. Il disegno raffigura l’operaio partigiano nudo, scheletrico, con le mani aggrappate alla rete della finestra del Bahnhof.

Com’è noto al ritorno a Milano, Carpi fu eletto direttore dell’Accademia di Brera per acclamazione. Il Diario di Gusen fu pubblicato solo nel 1971, su incoraggiamento del figlio Pinin. La condizione del deportato affiora con forza nella serie dei «carabinieri» cui Carpi lavora soprattutto negli anni Cinquanta, che si compone di circa venti dipinti e una quarantina di disegni. Le opere si presentano come variazioni di un unico tema: due carabinieri arrestano di volta in volta un Muselman, Gesù Cristo, un arlecchino, o Colombina: al centro la figura di un innocente che viene portato via da due guardie dallo sguardo più che crudele, vuoto, burocratico, assente.

Bibliografia essenziale

  • Aldo Carpi, Diario di Gusen, a cura di Pinin Carpi, introd. di Corrado Stajano e con un saggio di Mario De Micheli, Einaudi, Torino 1993
  • Aldo Carpi. Mostra antologica alla Rotonda della Besana, a cura di Mario De Micheli, Comune di Milano, Milano 1972.
  • Aldo Carpi. Mostra antologica (Milano Palazzo Reale 19 gennaio -25 febbraio 1990), Bolis, Bergamo 1990
  • «Aldo Carpi de’ Resmini», in Dizionario biografico degli italiani, vol. 20 (1977): http://www.treccani.it/enciclopedia/carpi-de-resmini-aldo_(Dizionario-Biografico)/
  • Gianfranco Bruno, Aldo Carpi, Orlando Consonni, Milano 1990
  • Maurizio Guerri (a c. di), Aldo Carpi. Arte, vita, Resistenza, Mimesis, Milano-Udine (in corso di stampa)

Note:

[1] Sul quadro L’arresto degli arlecchini si rinvia a http://www.novecento.org/storia-per-immagini/l-arresto-degli-arlecchini-6330/

[2] I disegni di Gusen sono stati donati al Museo monumento del deportato di Carpi e sono stati catalogati dalla Istituto dei beni artistici e culturali dell’Emilia-Romagna; sono disponibili per la consultazione al seguente indirizzo: http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/search.do?type=d&page=1&re=load

Il disegno di Alfredo Borghi è visibile qui: http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/loadcard.do?id_card=197699

 

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