Disegni, artisti, resistenze

Questa collezione di disegni è stata pazientemente “messa insieme” da mio padre Mario a partire dall’immediato dopoguerra, con, io credo, due precisi intenti: il primo, più evidente, consegnare alle generazioni future la testimonianza, il giudizio e la condanna che gli artisti autori di queste particolari opere  diedero sulla dittatura fascista e sulla tragedia della guerra; il secondo, più complesso, mostrare la capacità di questi stessi artisti di prendere la cronaca di quella tragedia e di restituirla, filtrata e trasfigurata attraverso l’invenzione del linguaggio, a una dimensione atemporale, universale.
Dunque, in queste opere, il ghigno dell’aguzzino, il corpo offeso, torturato, il dolore dei vivi di allora, è intatto, sconvolgente racconto dei nostri giorni.

Gioxe De Micheli

Francesca Pensa

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I ventidue disegni che vengono presentati nell’esposizione che celebra i 75 anni della Liberazione provengono dal fondo costituito da Mario De Micheli e dedicato al tema della Resistenza; la collezione completa conta anche altri lavori di simili soggetto e uguale tecnica e trova corrispondenza in un’altra serie di opere grafiche, della medesima provenienza, oggi conservata al Museo della Permanente di Milano.

È ipotizzabile che tutto questo articolato insieme di testimonianze artistiche sia stato raccolto dal celebre critico d’arte non in un tempo unico, forse anche grazie a omaggi e regali che vari artisti fecero all’intellettuale col quale condividevano idee e convinzioni politiche. Mario De Micheli, il cui nome, insieme a quello della moglie Ada, è segnato sul Muro del Giardino dei Giusti di Gerusalemme, partecipò in modo diretto alla lotta contro il nazifascismo, aiutando, nella sua casa di Sormano in provincia di Como dove era sfollato negli anni della guerra, ebrei e rifugiati politici a raggiungere la Svizzera. Arrestato, riuscì a sottrarsi alle accuse, peraltro innescate dalla traduzione trovata sulla sua scrivania di una parte del poema Marcia Trionfale – Coriolano di T. S. Eliot, nella quale era riportato un lungo elenco armi di ogni tipo, interpretato dalla polizia fascista come prova del suo aiuto alla lotta partigiana.

I disegni dedicati alla Resistenza erano dunque per De Micheli non solo una collezione di opere d’arte, ma un insieme di immagini nelle quali riconoscere se stesso, la propria storia e quella di chi aveva condiviso con lui quel tratto di vita nello stesso ideale di ribellione alla dittatura e di ricerca della libertà.

E infatti ciò che più impressiona di questa raccolta è soprattutto la sua cronologia, che, tranne in pochi casi, occupa gli anni della guerra e della lotta partigiana ovvero quelli che vanno dal 1942 al 1945. Si tratta infatti  di disegni “fatti nell’illegalità”, come definiva le proprie opere di quello stesso tempo l’indomabile antifascista Giandante X; inizialmente concepiti come strumento per fermare sulla carta un’idea scaturita da uno sguardo, si sono trasformati in testimonianze storiche, raccontando tante vicende di quel periodo ma anche lo stato d’animo dei loro autori, da intendere non solo come condizione emotiva ma anche come profonda partecipazione esistenziale ed etica al progetto di rivolta  contro il fascismo.

Il carattere particolare di questi lavori venne del resto colto con precisione dallo stesso De Micheli, che, nella presentazione della raccolta in una mostra tenuta alla Galleria La melagrana di Milano nel 1970, così scriveva nel catalogo: “Molti artisti avvertirono chiaramente che era in gioco qualcosa di più di una semplice innovazione del linguaggio. Avvertivano cioè che tutto l’uomo era in gioco, non soltanto il ribaltamento di un piano o il mutamento di un gusto. La Resistenza chiamava l’artista a trasformare se stesso e a trasformare di conseguenza la sua arte.”

Dietro ciascuno di questi disegni c’è dunque una storia particolare, che può essere legata all’autore che lo ha eseguito, ai suoi ricordi delle vicende, spesso tragiche, di quegli anni, di cui può essere stato diretto testimone, anche come partecipe alla lotta partigiana.

Il disegno di Aldo Carpi (1886-1973) porta una data successiva al 1945, distaccandosi così dalle altre opere della collezione e mostrando la radice della sua creazione, che è quella di un ricordo drammaticamente incancellabile. Carpi, bravo pittore e indimenticabile insegnante, subì la prigionia nel lager di Gusen, sottocampo di Mauthausen, da dove tornò a Milano per venire nominato per acclamazione direttore dell’Accademia e del Liceo Artistico di Brera. La sua straordinaria personalità fu un riferimento importante per molti giovani in quegli anni tormentati, come scrisse Ennio Morlotti, ricordandolo come suo maestro:

“La nostra generazione in tutti i modi soffocata e avvilita, amputata, sparpagliata, sminuita dagli avvenimenti, ebbe pochissime cose a cui attaccarsi per sopravvivere; tutto al di fuori di quattro quadri e di quattro amici, ci portava alla malora. Per un gruppetto di pittori qui a Milano c’è stata però anche un’altra cosa, c’è stato un maestro. Aldo Carpi era titolare di pittura all’Accademia di Brera ma oltre e prima che pittura insegnava con l’esempio libertà e moralità. Prima che insegnante fu maestro e indipendente; per questo fu anche lui soffocato e avvilito, per questo anziché appannaggi, diplomi e medaglie si ebbe in premio un lungo soggiorno a Mauthausen” (Mario De Micheli, Aldo Carpi, Silvana, Milano, 1963, pp. 44-45).

Bruno Cassinari (1912-1992) trattò il tema della Pietà, un soggetto apparentemente lontano dai racconti di lotta della guerra partigiana. Eppure quell’iconografia fu centrale nella pittura di opposizione di quegli anni e venne frequentata dagli artisti di Corrente, della quale il pittore fu uno dei protagonisti. Nel disegno dell’artista è infatti possibile leggere un significato nascosto, che trasforma le sofferenze del Cristo crocefisso nel martirio di una intera nazione sotto la tragedia della dittatura e della guerra. E’ interessante poi ricordare che l’opera grafica del 1942 è collegata a un olio di Cassinari, presentato nello stesso anno al Premio Bergamo, voluto dal potente gerarca fascista Giuseppe Bottai allora ministro dell’Educazione Nazionale; svolto dal 1939 al 1942, fu importante occasione espositiva per   vari autori  che realizzarono un’arte lontana da quella più organica al fascismo, da leggere in molti casi  come premessa dello scenario pittorico che si sviluppò dopo la Liberazione.

Le figure di impiccati dei disegni che Agenore Fabbri (1911-1998) eseguì nei tempi della guerra già contengono i temi che il grande scultore ha trattato in tutta la sua carriera. Le drammatiche vicende del secondo conflitto mondiale costituirono per la poetica dell’artista elemento centrale, che ha potuto successivamente declinarsi in una raffigurazione plastica che incarna in una interpretazione più generale l’incerta condizione dell’uomo contemporaneo. Partecipe alla lotta della Resistenza in Liguria, Fabbri è stato autore di monumenti pubblici in memoria delle vittime della guerra e della oppressione nazifascista, come il Monumento alle vittime del bombardamento aereo del 1944 a Toirano (SV) del 1969, il Monumento alla Resistenza a Savona del 1974 e la Condizione umana a Pistoia (1981) e a Milano (1983).

Alfredo Mantica (1903-1996) aveva lo studio a Milano in una mansarda di piazzale Susa, resa celebre perché in essa si incontravano artisti come Birolli, Manzù, Sassu e Guttuso, tutti impegnati nell’esperienza di Corrente, la rivista per la quale lavorava la generazione di intellettuali che avrebbe sostenuto la rivolta contro il regime.  Mantica, mandato in guerra in Jugoslavia e in Grecia, dopo l’8 settembre combatté nella Resistenza e il suo disegno è una cronaca, trasposta in una di dimensione di religiosità laica, della violenza di quegli anni, che trasforma gli uomini del Novecento in protagonisti di moderne Viae Crucis.

Quinto Martini (1908-1990) è stato artista e scultore legato alla città di Firenze. Carlo Levi ricorda quando, nella primavera del 1943, essendo stato arrestato dai fascisti nella città toscana, scoprì che nella cella accanto alla sua c’era Martini, segnalato come prigioniero politico a cui doveva essere riservata grande sorveglianza. L’opposizione dello scultore al nazifascismo si mostra con evidenza nel disegno realizzato nel 1944, in cui un partigiano impiccato è raffigurato su un pezzo di carta sgualcito e dai bordi strappati, come se se fosse stato conservato con fatica e difficoltà, in perfetta coerenza con la vita che Martini condusse in quell’anno, vivendo clandestinamente per sfuggire alla cattura dei nazisti.

Il siciliano Giuseppe Mazzullo (1913-1988) riceveva nella sua casa di Roma artisti e intellettuali come Renato Guttuso e Cesare Zavattini, personalità che ben rappresentavano il fronte della cultura antifascista che andava formandosi nell’ultima fase del regime: e questo in un parallelo storico che evoca gli incontri che avvenivano nello stesso tempo nella dimora di Gabriele e Jenny Mucchi in via Rugabella a Milano.  Scultore, usava il disegno in stretto rapporto con la sua ricerca plastica, che si concentrava particolarmente sul tema della figura: la Vittima rappresentata nel suo disegno del 1942 raccoglie la sofferenza di tanti martiri della Resistenza, soggetto al quale l’artista dedicò altre opere realizzate negli anni Sessanta.

Giuseppe Motti (1908-1988), ricordato come “il pittore del Po” per la passione profonda per il territorio natio del grande fiume, ha spesso popolato i suoi lavori di contadini e di pescatori. Impegnato in Val d’Ossola come combattente nella Resistenza, ha riempito un disegno di quegli anni   di tante figure, che diventano drammatica raffigurazione della celebre poesia di Salvatore Quasimodo e che sembrano nella loro disperazione esattamente recitare: “E come potevamo noi cantare /con il piede straniero sopra il cuore”. Nella pittura di realismo generoso e appassionato che caratterizzò tutta la sua carriera dopo la guerra, non mancarono le immagini di donne, delle quali la madre disperata del disegno del 1945 pare essere una premessa necessaria.

Anche Giovanni Paganin (1913-1997) fu artista vicino a Corrente: la sua scultura ha sempre mostrato una particolare sensibilità per temi e contenuti le cui radici risalgono al clima della guerra, come mostrano i suoi Partigiani e i suoi Fucilati. Nel 1942 l’artista era stato congedato per la malattia che aveva contratto come soldato; tornato nella nativa Asiago non aveva potuto scolpire e si era rifugiato nel disegno: i suoi nudi, che riprendono la più tradizionale e classica raffigurazione dell’uomo, paiono trasportare il racconto visivo in una dimensione che supera la cronologia storica per diventare immagine di una violenza brutale esercitata contro tutta l’umanità.

Pino Ponti (1905-1999) nel 1934 era stato costretto al confino per la sua opera La passeggiata liberale, presentata a Milano alla Galleria Tre Arti e ritenuta irriverente verso il regime. Molti sono i disegni che l’artista ha dedicato alla guerra e alla lotta per la liberazione: in quello eseguito nel 1944, le figure dei partigiani prigionieri appaiono esangui e smagrite e sembrano quasi prefigurare, nella loro espressione attonita e di muta sofferenza, gli uomini ridotti a larve che di lì a pochi mesi uscirono dai lager nazisti.

Il piemontese Pippo Pozzi (1910-1999) acquistò una certa notorietà come disegnatore di guerra, avendo partecipato alle vicende belliche in Africa Orientale, Grecia e Albania; le sue opere vennero presentate  anche in mostre aperte all’interno del sistema espositivo fascista, ma il loro carattere espressivo  conteneva un sofferto messaggio antieroico, lo stesso che  l’artista impiegò nelle immagini ispirate alla Resistenza, che celebrò con una serie di opere nel 1955 per il decennale della Liberazione a Biella e a Torino.

Franco Rognoni (1913-1999) fu pittore e disegnatore: l’amicizia con Raffaello Giolli, critico e storico dell’arte morto a Gusen, gli permise di ampliare la propria cultura visiva, straordinariamente aperta, sin dal tempo del fascismo, alle esperienze straniere. La sua raffigurazione della città percorsa da chi fugge sotto i bombardamenti è una nuova versione di una caratteristica iconografia del Novecento e pare lo sviluppo storico, nel periodo della guerra, delle vedute urbane di Boccioni e di Sironi.  Negli anni del conflitto mondiale e della Resistenza, Rognoni era sfollato sul Lago Maggiore, a Luino, e rese testimonianza, in una straordinaria serie di disegni, della presenza   proprio in quei luoghi delle truppe naziste e dei tragici avvenimenti di cui furono protagoniste.

Ampelio Tettamanti (1914-1961) dedicò una parte consistente della sua produzione artistica al tema delle periferie, che però avevano per lui una definizione ben precisa: nei suoi quadri e soprattutto nei suoi disegni i paesaggi urbani sono quelli dove l’artista abitava, ovvero i territori del quartiere della Bovisa, poi scenari delle storie del dopoguerra narrate da Giovanni Testori. Nel disegno eseguito dall’artista nel 1944, i panorami delle industrie, punteggiati da ciminiere e occupati da gasometri, divengono zone della guerra di Liberazione, dove combattono partigiani armati.

Eugenio Tomiolo (1911-2003) è stato pittore e come incisore ha dedicato una serie di acqueforti al tema della Resistenza, lo stesso che domina anche il suo disegno del 1943, nel quale, come nel fotogramma di un film, una figura distesa attende indifesa nella cella di un carcere.  Un soggetto che attraversa tutto l’itinerario espressivo dell’artista è poi quello degli animali, la cui sofferenza, trasformata in metafora del dolore provocato dalla dittatura e dalla guerra, è raffigurata anche dagli autori di Corrente, ai quali il pittore fu vicino: e così il cane Dik, ucciso accanto ai partigiani sull’aia di una cascina, diventa nell’immagine di Tomiolo testimone inconsapevole di una violenza che non ha risparmiato neanche i più innocenti.

Tono Zancanaro (1906-1985) aveva maturato negli anni Trenta le proprie convinzioni antifasciste nell’ambiente universitario di Padova, la città dove era nato, venendo a contatto con intellettuali come Eugenio Curiel e Concetto Marchesi. Al 1937 risale il suo primo Gibbo, al quale l’artista dedicò una vastissima produzione, ricca di oltre 3.000 fogli.  Dietro questo personaggio, dai tratti mostruosi segnati da un gonfiore molesto e insano, protagonista, insieme alla sua corte sguaiata e ridicola,  di  storie  surreali e assurde,  si celavano una feroce raffigurazione dello stesso Mussolini e una evocazione, ironica quanto tragica,  all’Italia dominata dal fascismo.

Le notizie segnalate in questo testo provengono dalla seguente bibliografia:

Aldo Carpi, 1886-1973, Bolis ed., Milano,1990; Cassinari, Mondadori, Milano, 1986; Agenore Fabbri, catalogo della mostra a Palazzo Reale, Milano, 1975; Alfredo Mantica, catalogo della mostra alla Galleria Le arcate, Milano, 1981; Quinto Martini (con prefazione di Carlo Levi), I giorni sono lunghi, Ed. dell’Avanti!, Milano-Roma, 1957; Giovanni Carandente, Giuseppe Mazzullo, De Luca ed., Roma, 1982; Raffaele De Grada, Giuseppe Motti – Arena Po 1908- Milano 1988, catalogo della mostra alla Galleria Ponte Rosso, Milano, 1996; Giovanni Paganin – gridare e testimoniare, Silvana ed., Cinisello Balsamo, 2005; Uomini al muro – Pino Ponti. Disegni di guerra e della Resistenza 1943-1945,  Trezzo d’Adda, 2015; Pippo Pozzi- dipinti ceramiche incisioni, catalogo della mostra al Palazzo della Giunta Regionale, Torino, 1988; Luigi Cavallo ( a cura di), Franco Rognoni – opere 1931-1998 Interni/Esterni, Silvana ed., Milano, 2003; Fede Lorando ( a cura di), 15 paesaggi umani – Ampelio Tettamanti e Milano, Nomos ed., Varese, 2016; Roberto Tassi (cura di), Eugenio Tomiolo, Milano, Mondadori, 1991; Zancanaro, Electa, Milano, 1982.

Milano capitale della Resistenza

Milano viene giustamente definita capitale della Resistenza.
A Milano avevano sede il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, di cui fu Presidente e tesoriere Alfredo Pizzoni, e dal giugno 1944 il Comando del Corpo Volontari della Libertà.

Roberto Cenati

La mostra ritrovata

Il ritrovamento quasi fortuito degli 80 pannelli della mostra di Bordeaux ha permesso di aggiungere un importante tassello agli studi sull'autorappresentazione del movimento partigiano immediatamente dopo la guerra.

Adolfo Mignemi

Disegni, artisti, resistenze

I ventidue disegni che vengono presentati nell’esposizione che celebra i 75 anni della Liberazione provengono dal fondo costituito da Mario De Micheli e dedicato al tema della Resistenza.

Francesca Pensa

La libertà negli occhi e il coraggio della pittura

Disegni di artisti resistenti raccolti da Mario De Micheli

Giorgio Seveso

Christian Schiefer, un fotografo a Piazzale Loreto

Le immagini di Christian Schiefer, fotografo svizzero presente a Piazzale Loreto il 29 aprile 1945, giorno in cui il cadavere di Mussolini venne riportato a Milano.

Giovanni Scirocco

Memoriali, musei e monumenti dello studio di architettura e urbanistica BBPR

Architettura, Antifascismo, Resistenza, Deportazione, Liberazione, Memoria

A cura di ANED

Piazzale Loreto, 10 agosto 1944

Quella di piazzale Loreto (la “prima” piazzale Loreto, la strage nazifascista di 15 partigiani) è una vicenda complessa, in cui si intrecciano quasi inesorabilmente storia, politica, memoria, narrazione

Giovanni Scirocco

Giuseppe Scalarini: l’Italia fascista è un carcere

Un viaggio intorno a una vignetta di Giuseppe Scalarini, disegnata dal più grande artista italiano della satira e della caricatura in una data imprecisata dopo la Liberazione.

Maurizio Guerri

Aldo Carpi, Passa la zuppa al Revier Gusen I, 1959

Il disegno di Aldo Carpi "Passa la zuppa al Revier Gusen I" fu donata dall’autore all’amico storico e critico dell’arte Mario De Micheli, docente al Politecnico di Milano. L’immagine rimanda all’esperienza di deportazione del pittore milanese nel lager di Mauthausen e nel sottocampo di Gusen I

Maurizio Guerri

Venanzio Gibillini (Milano, 1924-2019)

“Mi chiamo Gibillini Venanzio. Sono sopravvissuto nei campi di Flossenbürg, Köttern e Dachau”. Instancabile, iniziava sempre così Venanzio le sue infinite testimonianze nelle scuole e negli incontri pubblici.

A cura di ANED