Giuseppe Scalarini: l’Italia fascista è un carcere

Maurizio Guerri

Questa immagine di Giuseppe Scalarini (Mantova, 29 gennaio 1873, Milano, 30 dicembre 1948) che presentiamo in occasione del Settantacinquesimo della Liberazione è stata disegnata dal più grande artista italiano della satira e della caricatura in una data imprecisata dopo la Liberazione: lo storico dell’arte Mario De Micheli la situa genericamente «dopo il 1945», probabilmente – in considerazione del tema trattato – fu composta nei mesi immediatamente successivi alla Liberazione, o all’inizio del 1946. La vignetta risulta non essere stata pubblicata, se non postuma.

L’immagine è immediata ed efficace secondo lo stile di Scalarini. L’intera penisola italiana è rappresentata come un carcere: il profilo è costituito da impenetrabili mura che terminano in coincidenza del mare, poche linee di finestre tutte uguali si susseguono, sul tetto – una lastra uniforme piatta sotto cui è seppellito l’intero popolo italiano – due ciminiere e qualche antenna. Anche il Mediterraneo pare essersi ridotto a una superficie uniforme solcata da righe, tanto che ricorda più le inferriate di una cella che non il libero movimento del mare. L’immagine è quindi un’allegoria potente di ciò che rimane della vita nell’Italia trasformata in un carcere durante il ventennio fascista; in questa vignetta la storia collettiva del popolo italiano si incontra con la vicenda autobiografica dell’artista che nel dicembre 1926 è condannato a cinque anni di confino (da trascorrere a Lampedusa e Ustica) e di nuovo dal luglio 1940 al dicembre dello stesso anno (Vasto e Bucchianico). Dopo le vili aggressioni di cui era stato fatto oggetto per ben tre volte dai fascisti – l’ultima delle quali nel novembre 1926 lo costringe a rimanere in ospedale per un mese – dal 1926 fino alla caduta del regime Scalarini è sottoposto al divieto di pubblicare o firmare qualsiasi tipo di lavoro; attraverso l’isolamento nel confino e con il divieto di pubblicare la matita più critica nei confronti del regime è definitivamente spuntata. Come ricorda Scalarini stesso nel libro Le mie isole – dedicato alla propria esperienza di confino basato sugli appunti clandestini presi durante il periodo di detenzione – all’arrivo nel carcere milanese di S. Vittore, una guardia «mi prese i pochi soldi che avevo in tasca e la matita. Ah, finalmente sono riusciti a prenderla la famigerata matita che Turati chiamò “l’epicentro del terremoto che squassava la baracca borghese”». (p. 18)

I disegni satirici creati dopo l’ascesa al potere dell’ex collega dell’«Avanti!» Mussolini sono tra le più penetranti in assoluto nel panorama europeo e la matita di Scalarini si fa ancora più affilata nella trattazione dei temi su cui aveva lavorato negli anni della Prima guerra: la critica alla retorica nazionalista, le ingiustizie economico-sociali di cui vive il capitalismo, la decostruzione dell’ideologia guerrafondaia, la demolizione della retorica monarchica. Nell’Italia fascista, con immagini immediate e sintetiche, Scalarini trova la prospettiva secondo cui portare a intuire le ingiustizie più o meno nascoste e a rendere inaccettabili agli occhi di molti i diversi aspetti della “vita normale” nella macchina statale fascista. Con il suo lavoro Scalarini smaschera i legami tra capitalismo italiano (rappresentato di volta in volta e a seconda delle situazioni come un avvoltoio, un vampiro, una piovra, un pescecane, un pingue profittatore) e politica fascista, decostruisce la retorica guerrafondaia, pone in ridicolo il penoso e assai diffuso asservimento di intellettuali e giornalisti all’ideologia di regime (significativa una vignetta del 1924 intitolata Le penne lustrascarpe), attira l’attenzione delle masse popolari sul rapporto tra clericalismo e fascistizzazione della società italiana (assai efficace l’immagine del 1924 in cui una piovra con la testa a forma di cupola di San Pietro allunga i suoi tentacoli in tutti gli ambiti della vita italiana: scuole, ministeri, tribunali ecc.). La grande attenzione diffusa nelle masse popolari per il lavoro di Scalarini – che ha saputo articolare un pensiero per immagini critico del nazionalismo, anticapitalista e antifascista – è testimoniato anche dalla pubblicazione di volumi che raccolgono per temi i disegni preparati per «L’Avanti»: La guerra nella caricatura, 1912; Il processo della guerra, 1913; La guerra davanti al tribunale della storia, 1920; Abbasso la guerra, 1923. Da parte del regime, la condanna al confino e al divieto di pubblicare qualsiasi disegno ha quindi lo scopo di accecare uno degli sguardi più penetranti e critici della politica fascista: il successo in larghi strati della popolazione delle vignette di Scalarini e l’ampia diffusione delle stesse, ritagliate e passate di mano in mano ben oltre la cerchia dei lettori dell’«Avanti!» rendevano non più procrastinabile il blocco di ogni sua attività.

Dopo la Liberazione, Scalarini pubblica ancora pochi disegni per l’«Avanti!», per il «Codino rosso» e per il «Sempre avanti». I problemi di salute cui hanno contribuito gli anni di confino, la morte della inseparabile compagna Carolina (1943) e la morte della figlia Giuseppina (1945) hanno inciso irreversibilmente sulla vitalità di Scalarini, che si spegne a Milano nel 1948. Questa vignetta che presentiamo è una delle ultime disegnate e pubblicata postuma nel volume Le mie isole.  

Bibliografia essenziale

  • Cinzia Bibolotti, Franco Angelo Calotti, Giuseppe Scalarini. Il veleno della storia, (a c. di), Museo della satira e della caricatura, Forte dei Marmi 2006 (disponibile on line)
  • Virginia Chiabov, Le avventure di Miglio, Vallardi, Milano 1933
  • Giuseppe Scalarini, Le mie isole, a c. di M. De Micheli, Franco Angeli, Milano 1992
  • Mario De Micheli, Giuseppe Scalarini, Edizioni Avanti!, Milano 1962
  • Mario De Micheli, Giuseppe Scalarini. Vita e disegni del grande caricaturista politico, Feltrinelli, Milano 1978.
  • Fabio Ecca, Penna, matita e reclusione. Le esperienze di Giacinto Menotti Serrati e Giuseppe Scalarini, in Enrico Serventi Longhi, Anthony Santilli (a c. di), Stampa coatta. Il giornalismo in regime di detenzione, confino, internamento nel XX secolo, (in stampa)
  • Giovanna Ginex (a c. di), Giuseppe Scalarini. Il segno intransigente, Grafica, politica, satira, illustrazione, Museo del Novecento, Milano 2013

Milano capitale della Resistenza

Milano viene giustamente definita capitale della Resistenza.
A Milano avevano sede il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, di cui fu Presidente e tesoriere Alfredo Pizzoni, e dal giugno 1944 il Comando del Corpo Volontari della Libertà.

Roberto Cenati

La mostra ritrovata

Il ritrovamento quasi fortuito degli 80 pannelli della mostra di Bordeaux ha permesso di aggiungere un importante tassello agli studi sull'autorappresentazione del movimento partigiano immediatamente dopo la guerra.

Adolfo Mignemi

Disegni, artisti, resistenze

I ventidue disegni che vengono presentati nell’esposizione che celebra i 75 anni della Liberazione provengono dal fondo costituito da Mario De Micheli e dedicato al tema della Resistenza.

Francesca Pensa

La libertà negli occhi e il coraggio della pittura

Disegni di artisti resistenti raccolti da Mario De Micheli

Giorgio Seveso

Christian Schiefer, un fotografo a Piazzale Loreto

Le immagini di Christian Schiefer, fotografo svizzero presente a Piazzale Loreto il 29 aprile 1945, giorno in cui il cadavere di Mussolini venne riportato a Milano.

Giovanni Scirocco

Memoriali, musei e monumenti dello studio di architettura e urbanistica BBPR

Architettura, Antifascismo, Resistenza, Deportazione, Liberazione, Memoria

A cura di ANED

Piazzale Loreto, 10 agosto 1944

Quella di piazzale Loreto (la “prima” piazzale Loreto, la strage nazifascista di 15 partigiani) è una vicenda complessa, in cui si intrecciano quasi inesorabilmente storia, politica, memoria, narrazione

Giovanni Scirocco

Giuseppe Scalarini: l’Italia fascista è un carcere

Un viaggio intorno a una vignetta di Giuseppe Scalarini, disegnata dal più grande artista italiano della satira e della caricatura in una data imprecisata dopo la Liberazione.

Maurizio Guerri

Aldo Carpi, Passa la zuppa al Revier Gusen I, 1959

Il disegno di Aldo Carpi "Passa la zuppa al Revier Gusen I" fu donata dall’autore all’amico storico e critico dell’arte Mario De Micheli, docente al Politecnico di Milano. L’immagine rimanda all’esperienza di deportazione del pittore milanese nel lager di Mauthausen e nel sottocampo di Gusen I

Maurizio Guerri

Venanzio Gibillini (Milano, 1924-2019)

“Mi chiamo Gibillini Venanzio. Sono sopravvissuto nei campi di Flossenbürg, Köttern e Dachau”. Instancabile, iniziava sempre così Venanzio le sue infinite testimonianze nelle scuole e negli incontri pubblici.

A cura di ANED