I quotidiani della Liberazione

di Roberto Cenati

Per circa tre quarti del XIX secolo, nonostante le limitazioni imposte in periodi eccezionali, si può dire che della libertà di stampa gli italiani godettero in maniera sufficientemente larga. L’attacco maggiore contro di essa si ebbe negli ultimi anni dell’ottocento. Prendendo spunto dalle “sommosse della fame” il governo tentò di imprimere una svolta reazionaria alla vita del Paese. La stampa di opposizione, da quella cattolica all’anarchica, fu sottoposta a durissimi colpi dalla ventata di repressioni. A Milano, nel 1898, dopo i fatti di maggio, Il Secolo venne soppresso per tre mesi dal generale Bava Beccaris. Le forze democratiche riuscirono però a sconfiggere questa deriva reazionaria e l’evoluzione del Paese potè continuare in una condizione di relativa libertà.
Nel 1920, al culmine della passione politica che caratterizzò il biennio rosso, si stampavano in Italia 157 quotidiani con centinaia di migliaia di copie di tiratura, 843 settimanali, 79 giornali umoristici, 398 riviste di studi politici e sociali, 388 periodici sindacali e professionali.
I conservatori non potevano non pensare a garantirsi il controllo di un così importante complesso di mezzi di informazione e comunicazione. Sembrò ad essi naturale che, fin dall’inizio della loro attività squadristica, i fascisti attaccassero in primo luogo le sedi e le tipografie dei giornali socialisti, cattolici, anarchici, sindacali. Occorreva imporre silenzio ai lavoratori. Il primo di questi atti criminali porta la data del 15 aprile 1919, quella dell’assalto alla sede dell’Avanti! in via San Damiano a Milano.
I grandi organi di informazione si distinsero all’inizio per la loro opera di fiancheggiatori del fascismo, il quale non poteva però fermarsi a metà strada. Il programma del governo fascista di eliminare ogni voce di opposizione fu portato a compimento in modo sistematico: non vennero risparmiati neppure quei giornali che avevano favorito e sostenuto l’ascesa del fascismo al governo ma che, alle prime esperienze di esso, avevano avanzate timide e caute riserve.
Mussolini, che, come è noto, conosceva benissimo l’importanza della comunicazione attraverso la stampa essendo stato lui stesso giornalista, il 12 luglio 1923 fece approvare dal Consiglio dei Ministri un decreto contro la libertà di stampa. Per stroncare la vigorosa campagna antifascista scatenata dal delitto Matteotti, Mussolini fece deliberare nella seduta dell’8 luglio 1924 l’applicazione immediata del decreto sulla stampa del 1923: il 31 dicembre di quell’anno& i giornali di opposizione furono quindi sequestrati in tutta Italia. Alla fine di novembre del 1925 i fascisti riuscirono a defenestrare Luigi Albertini dalla direzione del Corriere della Sera, che divenne così un foglio di stretta osservanza fascista: cadeva così nelle mani dei regime, dopo La Stampa, il più grande quotidiano d’informazione a diffusione nazionale.
E tuttavia, per i venti anni del fascismo e a prezzo di sacrifici immensi, la “stampa alla macchia” rifiutò ogni compromesso con il regime e incitò alla lotta per la libertà e la democrazia.
Non è un caso se tra le prime azioni compiute il 25 aprile 1945, dopo che il Clnai riunitosi presso il collegio dei Salesiani in via Copernico aveva proclamato l’insurrezione generale, vi sia stata l’occupazione delle sedi del Corriere della Sera, de La Gazzetta dello Sport e de Il Popolo d’Italia.
A Gaetano Afeltra, mesi prima del 25 aprile, quando direttore del Corriere era ancora Ermanno Amicucci, scelto per quel ruolo da fascisti e repubblichini, era stato dato l’incarico di mantenere, in clandestinità, i contatti con le maestranze del quotidiano e con Cln.
Il 7 agosto 1944, in una riunione segreta tenuta presso la chiesa dei santi Nereo e Achilleo in viale Argonne, venne deciso il nome del direttore del Nuovo Corriere: i partecipanti, tra cui era presente anche Ferruccio Parri, ex redattore del giornale, scelsero per quell’incarico Mario Borsa, “giornalista schivo da ogni compromissione e tenace assertore dei diritti di libertà e giustizia sociale, in omaggio ai quali ebbe a soffrire sotto il fascismo due volte il carcere, due anni di ammonizione e in più il campo di concentramento”.
In quella riunione si stabilì l’uscita di un giornale insurrezionale, che doveva esprimere una inequivocabile presa di distanza dal fascismo: ma per realizzare questo obiettivo, bisognava innanzi tutto entrare nella sede del Corriere, nella quale, tra l’altro, dovevano trovare ospitalità anche le redazioni degli altri due quotidiani, l’Unitàe l’Avanti!, fino ad allora clandestini. Questo importante e impegnativo compito venne affidato dal Cln a un gruppo di antifascisti del Comitato Iniziativa Intellettuali, tra i quali vi erano l’avvocato Antonio D’Ambrosio, Elio Vittorini, Alfonso Gatto e una donna, la studentessa di medicina Claudia Ruggerini, colei che, pochi mesi prima, aveva riconosciuto il corpo di Eugenio Curiel salvandolo da una possibile sparizione.
L’appuntamento venne fissato per il 25 aprile alle otto del mattino in via Solferino: in quella data e in quell’ora il Corriere venne occupato.
“Poi si susseguirono ore caotiche – si legge in un articolo del Corriere della Sera pubblicato il 24 aprile 2015 – occorreva controllare lo stato di salute dei macchinari, la cui salvaguardia era stata affidata alle cellule antifasciste. Verificare la presenza di scorte di carta e inchiostro per stampare non uno, ma tre quotidiani, e in quantità sufficienti. E, soprattutto, organizzare il lavoro redazionale”.
Francesco Francavilla, redattore del giornale, epurato e tornato al suo posto quella mattina, così ricorda quei momenti: “Siamo in pochi, prendiamo posto intorno a un lato del lunghissimo tavolo di redazione. All’altro estremo del tavolo hanno preso posto i colleghi de l’Unità e dell’Avanti! che da domani saranno stampati qui”.
La radio era ancora in mano ai fascisti e non poteva comunicare chiarimenti sulla situazione; nel primo pomeriggio, Afeltra e Borsa chiedevano& assicurazioni dal CLN sull’uscita del Corriere e intanto cercavano notizie sulla mediazione che il Cardinal Schuster, in arcivescovado, stava tentando tra Mussolini e il Cln.
Si lavorava quindi, pur nell’incertezza, al numero del Nuovo Corriere: il direttore preparaval’articolo di fondo, che uscì col titolo “Riscossa”: venne letto alla redazione, che chiese per ben due volte di rifarlo nell’obiettivo di redigere un testo inequivocabilmente chiaro nel suo rifiuto del fascismo. Dino Buzzati scriveva intanto l’editoriale intitolato “Cronaca di ore memorabili”, aprendolo con queste parole: “Senza osare ancora crederlo, Milano si è risvegliata ieri mattina all’ultima giornata della sua interminabile attesa”.
Arrivò dunque la mattina del 26 aprile, che vedeva i redattori ancora chiusi nel locali di via Solferino. Ma finalmente giunsero i segnali della vittoria: prima fu il canto di un gruppo di partigiani ciclisti e poi il silenzio della radio, lungo cinque minuti e poi rotto dalla voce di Corrado Bonfantini, comandante delle Brigate Matteotti, che proclamava: “Qui Radio Milano Liberata!”.
Verso le 11 uscirono le copie de Il Nuovo Corriere: il grande titolo a tutta pagina riportava: “E’ giunta la grande giornata – Milano insorge contro i nazifascisti – L’ultimatum del Comitato di Liberazione nazionale agli oppressori: Arrendersi o perire”; più sotto era il proclama del Cln e in basso un articolo intitolato “Mussolini scompare da Milano dopo drammatiche tergiversazioni”.
In quel giorno, ancora prima del Corriere, era uscito L’Italia Libera, giornale del Partito d’Azione diretto da Leo Valiani: stampato in piazza Cavour, in quella che era stata la sede de Il Popolo d’Italia, apriva la sua prima pagina con queste parole: “La rivoluzione democratica in marcia – Insurrezione nazionale – Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia assume i poteri di governo e ordina la lotta a oltranza”.
E sempre in quella data, usciva anche l’Unità, che, sotto la testata, così scriveva: “L’insurrezione in atto marcia verso il suo epilogo vittorioso”; il titolo dell’Avanti! fu invece “Milano è insorta”, mentre quello de Il popolo riportava “L’Italia è libera – L’Italia risorgerà”.
A Milano proseguiva frattanto la liberazione della città, operazione che durò diversi giorni; il Corriere sospese però le sue pubblicazioni, tornando in edicola solo il 22 maggio e sotto la nuova testata del Corriere d’Informazione; il quotidiano milanese rivedrà la stampa, sotto la sua storica testata, il 7 maggio 1946.
Bibliografia di riferimento:
– Dal Pont, A. Leonetti, M. Massara, Giornali fuori legge. La stampa clandestina antifascista 1922-1943, A.N.P.P.I.A., Roma, 1964
– Casati, C. Jampaglia, La storia del Corriere 25 aprile 1945 , in Corriere della Sera, 24/4/2015

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